«Siamo tutti bambini con la barba lunga», disse anni fa, in un’intervista, Domenico Starnone. Parlava degli scrittori, ma mi piace pensare che si riferisse, memore del suo lavoro di una vita, anche al ruolo – senza dubbio fra i più temerari al mondo – di chi insegna. Col tempo, crescendo anche la mia barba, ho appreso che con questa consapevolezza, e solo con questa, è possibile affrontare dignitosamente il lavoro educativo. Si tratta di un atto di umiltà? anche, certo. In fin dei conti è solo saggezza minima riconoscere che coloro che sanno, anche quando sanno davvero, tutto non possono. La scuola non può tutto, gli insegnanti non possono tutto nella scuola. C’è, però, altro: quello che Starnone ci suggerisce è un atto creativo, che rimescola le carte, che sposta tutto il problema dell’insegnare nella consistenza di un apostrofo. Quello assente, ma presente come un convitato di pietra, nel titolo di un suo delizioso romanzo: Labilità.
In questo romanzo, in uno dei primi capitoli, c’è un episodio che sono solito leggere ai colleghi, insegnanti e formatori, quando affronto il tema della didattica (e dell’apprendimento) basata sulle competenze. L’episodio racconta di come un ricordo d’infanzia, riaffiorando progressivamente alla mente del protagonista, scrittore in crisi di identità e di creatività, possa sbloccare nuovamente la sua vita. Questo ricordo parte da un oggetto importante nelle vite di molti bambini: le figurine dei calciatori. Esistevano figurine che capitava di trovare spesso, ne esistevano (e forse ne esistono) altre più rare, esiste infine quella rarissima, quasi introvabile, da collezionisti: in quel caso, in quell’anno, la figurina che rappresentava il grande giocatore giampiero Boniperti. al protagonista del racconto non interessa il possesso in sé, non ama il calcio, anche se è stranamente capace nel gioco dello “schiaffo” (che dalle mie parti si chiamava “giocare a patta”): vince e non ne sa comprendere il perché. Il suo desiderio di quella figurina riguarda il bisogno di appartenenza a un gruppo, il non essere escluso ma incluso. Le competenze, d’altronde, riguardano esattamente l’inclusione e l’esclusione.
Bene, questo ragazzo matura una decisione imprevedibile: non cerca il Boniperti, se lo costruisce disegnandolo su un cartoncino. Una scorciatoia per rendersi importante con i compagni. L’indomani, con una sicurezza che sorprende lui per primo, decide, al termine delle lezioni, di farlo vedere “gratis” ai suoi compagni invidiosi. Insomma esibisce un falso.
Lo schiaffo – il nostro ragazzo divenuto uomo lo ricorda ancora vividamente – lo subì dalla realtà; quella sua abilità creativa, quella potenzialità di uscire dagli schemi, gli procurò una profonda ferita: lo sguardo dei compagni che lo fece sentire fuori posto, ridicolo.
Questa metafora ci racconta molto su quello che significa educare alle competenze, intese come elemento necessario e decisivo nella costruzione della propria vita. Le competenze di vita (life skills) sono la matrice generativa del lavoro basato su competenze non effimere, non schiacciate sul mercato e tantomeno escludenti. Esse riportano il nostro sguardo su quel labile confine che c’è fra una fantasia capace di trasformare, fino a creare una nuova realtà, e una fantasia che diventa rifugio alienante in cui il principio di concretezza è pericolosamente annullato. Perché se è vero che la realtà vera non è conoscibile e che tutti noi viviamo in una costruzione soggettiva, nella quale le opinioni spesso contano più dei fatti, è pur vero che solo attraverso il dialogo, l’ascolto, noi possiamo pensare di costruire insieme un tempo nel quale condividere un destino.
Sono portato, quindi, a pensare che il nostro destino sia il risultato di un equilibrio o di un disequilibio fra queste due potenze desideranti. La prima porta alla trasfigurazione del mondo, alla possibilità di elevare l’esperienza, l’altra, quella alienante, porta alla finzione intesa come falsificazione.
Sì, il confine è labile, come con la letteratura: «Quando si scrive – continua Starnone in quell’intervista, – si parla da soli, si fanno gesti, si vedono cose e persone. Ma non sono allucinazioni, chiedi a Flaubert, è letteratura».
Gabriel Del Sarto
I Quaderni dell’Ente Cassa di risparmio di Firenze rappresentano una sintesi dei lavori svolti nella sperimentazione del primo anno del progetto Orienta Drop Out e sono stati stampati grazie a Loescher Editore. Maggiori informazioni le troverete sul sito dispersione.it
Batini F., Cini S., Evangelista M., Pastorelli L., Non ho paura (Percorsi per lo sviluppo di competenze dell’asse linguistico), Loescher, 2016, ISBN 978 88 201 3809 7