Nel periodo che è passato dalle mie dimissioni fino a quando ho cominciato a sentire che le cose potevano “sistemarsi”, nei momenti che la consegna dei curriculum mi lasciavano libero e tra una chiacchierata e un’altra con le persone che conosco e che lavorano nella formazione e anche con quelli che non ci lavorano, dovevo riempire le ore che dopo un po’ cominciavano a sembrare lunghe e vuote per quanto cercassi un senso da attribuirgli… alla fine è sempre questo il problema: dare senso alle cose.
Cucinavo e leggevo, andavo a fare la spesa e cercavo corsi da seguire – che nei periodi di ferma, quando il lavoro non c’è, sarebbe la cosa migliore da fare e magari anche in altri tempi – e poi, un sera che era in mezzo alla settimana ma che non ricordo che giorno fosse, mi è arrivato un Google Allert che mi riguardava e mi è venuta l’idea di fare questa cosa. Poi, come sempre, ho lasciato correre ed è passato qualche giorno.
Ho preso il dominio e ho dovuto decidere cosa farne… che poi magari un giorno invecchierò anche io e dovrò inventarmi qualcosa per occupare il tempo. La prima vorrei fosse l’orto (come mio padre e come mio suocero), l’altra sarà cucinare come faccio adesso, e non vedo perché dovrei smettere, e la terza sarà riempire questo spazio. Se ne avrò voglia, tempo e possibilità che le piante grasse e il modellismo non mi interessano.
Bisogno di riorganizzare
Adesso ha soprattutto una funzione di riorganizzazione mia e non certamente di “pubblicità” e chi mi conosce lo sa bene che non sono il tipo, sono un timido e rischierei di apparire arrogante (non immaginate quanto ho già scritto e cancellato a lavoro svolto dicendomi “Ho veramente voglia di parlare di questo o lo faccio per cosa?”). Avrà la funzione di riempire gli spazi tra un lavoro e un altro e tra una spesa e un piatto cucinato, tra accompagnare i bambini a fare le loro cose. Niente di più.
Avrà una funzione terapica, esattamente come inveire contro qualcosa o qualcuno nei social senza dire contro chi o contro cosa lo si sta facendo. Serve a sfogarsi, una sorta di confessione di piazza nei quali vengono buttate fuori frustrazioni e rabbie. Questo spazio sarà meno brutale ma non per questo meno necessario.
Viaggiatore o Turista
Cosa c’entra Shackleton che ho citato nel sottotitolo e messo qui accanto nella foto?
Uno dei percorsi di orientamento che più mi è piaciuto ideare e presentare quando lavoravo a Pratika si intitolava Viaggiatore o Turista e si articolava in quattro incontri per un totale di 9 ore e voleva riflettere assieme ai ragazzi (era pensato per il biennio delle scuole superiori) su chi volessero essere e come volessero affrontare le cose che succedono.
Tra le varie letture da fare per introdurre le attività c’erano queste tre che metto in ordine di utilizzo:
- È buffo. Quei gabbiani che non hanno una meta ideale e che viaggiano solo per viaggiare, non arrivano da nessuna parte, e vanno piano. Quelli invece che aspirano alla perfezione, anche senza intraprendere alcun viaggio, arrivano dovunque, e in un baleno. (Il gabbiano Jonathan Livingston, Richard Bach)
- Cercasi uomini per una spedizione azzardata. Bassa paga, freddo pungente, lunghi mesi nella più completa oscurità, pericolo costante, nessuna garanzia di ritorno. Onori e riconoscimenti in caso di successo. (Ernest Shackleton, annuncio per trovare l’equipaggio per la Spedizione Endurance pubblicato sul quotidiano The Time – In realtà si tratta di un falso)
- Una sera del 1987 il poeta russo Josif Brodskij si ritrovò in una bella sala del Municipio di Stoccolma a pronunciare il suo discorso di accettazione. Gli era toccato il Premio Nobel, a meno di cinquant’anni, nel pieno del suo esilio. In fondo al suo breve intervento disse: “E’ maledettamente lunga la strada per arrivare da Pietroburgo a Stoccolma, ma, dopo tutto, per uno che fa il mio mestiere, l’idea che una linea retta rappresenti la distanza più breve tra due punti ha perduto da un pezzo la sua attrattiva”. Questo pensiero può essere utile a dei giovani che da un loro perpetuo punto di partenza non vedono l’ora di essere già arrivati a qualche traguardo, a qualche preziosa stazione della loro giusta ambizione. Cercano la linea retta, la più breve, mossi dall’impazienza dell’età e persuasi da un’idea lineare dei tragitti. Non è così. Tra quei due punti, scorre la vita, che è una continua digressione, un imperterrito divagare, che ha bisogno di ostacoli, rinunce, buona sorte, anche disgrazia per compiersi. Solo da un arbitrario punto di arrivo si può credere a un percorso, dare questo nome all’intrico dei propri giorni. Stoccolma non è il capolinea di Pietroburgo, ma solo un’occasione per voltarsi indietro. Dal guazzabuglio del passato emerge allora non la linea tratteggiata di un disegno, ma la forza posseduta dal punto di partenza, l’energia contenuta nella premessa. Allora da un arbitrario punto di arrivo: un letto d’ospedale, una cella di prigione o una cena, al Municipio di Stoccolma, pretesto per voltarsi indietro, ognuno può riconoscere la saggezza di un destino, che divaga sempre e per compiersi non insegue rotta, ma deriva. (Zig Zag in Erri De Luca, Alzaia, 1997)
E poi, per concludere, ha senso perché se è giusto fare quello che serve alla fine, quando è possibile, da più soddisfazione fare quello che diverte. Se queste cose vanno di pari passo poi…