Charles Bukowski nella raccolta di poesie Quando eravamo giovani edita da Feltrinelli inserisce questa poesia che spesso ho utilizzato in orientamento.
L’ho usata soprattutto per le prime cinque righe poi era impossibile non continuare a leggerla… e a volte mi è stato rimproverato l’essere andato oltre l’inizio.
Girando di città in città
avevo sempre due paia
di scarpe,
le scarpe per-cercare-lavoro
e le scarpe da lavoro.le scarpe da lavoro erano
rigide, nere
e pesanti.
qualche volta quando
le indossavo
facevano molto
male,
la punta indurita e
contorta.
ma le mettevo
in una mattina
post-sbornia,
pensando: bene,
rieccoci qui
a lavorare per
paghe miserabili
e si suppone tu sia
grato
di questo
(essendo stato scelto
tra una folla
di candidati).
probabilmente era la mia
faccia
più brutta e
onesta.rimettersi
quelle scarpe
era sempre
un altro duro
inizio.immaginavo
me stesso
che in qualche modo
riuscivo a
uscirne.
vincendo al
tavolo da gioco
o sul
ring
o nel letto
di qualche ricca
signora.può essere che l’idea
derivasse
dal vivere troppo tempo
a Los Angeles,
un posto di gran lunga troppo vicino
a Hollywood.ma scendevo le scale
di quelle stanze in affitto
a ogni nuovo
inizio,
le rigide scarpe che
mi assassinavano i piedi,
fuori nella luce
del primo
mattino,
lì
il marciapiede,
lì
la città,
e io ero solo un altro
lavoratore qualunque,
un altro
uomo qualunque,
l’universo
che mi scivolava
attraverso
la testa
e fuori dalle
orecchie,
il cartellino che aspettava
di farmi entrare
ed uscire,
e in seguito
qualcosa da bere e
donne infernali.scarpe da lavoro
scarpe da lavoro
scarpe da lavoro
e io
dentro di loro
con tutte le luci
spente.