Pezzo famosissimo di Luciano Gallino uscito su La Repubblica del 20 febbraio 2002.
Gli studi storici sulla civiltà italica del terzo millennio hanno fatto un importante passo avanti con la scoperta del diario d’uno sconosciuto vissuto nei primi decenni dell’epoca. Un esame preliminare dei suoi contenuti ci ha indotto a ritenerlo opera d’un “uomo flessibile”, categoria numerosa a quei tempi.
In effetti disponevamo già d’una massa ragguardevole di documenti relativi al Culto della Flessibilità allora diffuso. Articoli, saggi, fossili di filmati tv, pergamene d’accordi internazionali come quello famoso tra Italia e Gran Bretagna di inizio millennio, attestano come la venerazione della Flessibilità fosse una delle occupazioni principali di quelle popolazioni.
In ogni settore della vita sociale, culturale, politica, financo economica, esse parevano anteporre tale culto ad ogni altro impegno o pensiero. Per la verità, i ricercatori non sono finora riusciti ad appurare se la Flessibilità fosse creduta essere, o si volesse far credere che fosse, spirito, sostanza, persona, archetipo collettivo o logo pubblicitario.
Questo diario d’un uomo che pare praticasse la Flessibilità, per convinzione o per obbligo, permette comunque di comprendere meglio quale incidenza essa avesse nella vita quotidiana.
Il diario copre un arco di parecchi anni. Ne riportiamo alcuni brani.
Ottobre 2001.
A me la flessibilità piace. Mi lascia libero di organizzare il mio tempo. Sono indipendente. E poi si incontrano facce nuove. Lavorare in aziende sempre diverse è una bella esperienza. Mi arricchisce la professionalità e mi permette anche di spenderla meglio.
È vero che ogni tanto devo chiedere soldi ai miei per andare in discoteca, perché tra un lavoro e l’altro magari passa qualche mese. Ma insomma, se penso a loro che han passato tutta la vita nello stesso barboso posto, io son molto più soddisfatto.
Giugno 2005.
La ditta in cui ho lavorato tre mesi m’ha rinnovato il contratto per altri sei. Giusto un paio di giorni prima che scadesse l’altro. Si vede che mi apprezzano.
Certo che se me lo dicevano un po’ prima avrei gradito, perché mi risparmiavo di girare le agenzie e passare nottate in Internet per vedere se trovavo un altro lavoro.
Gennaio 2006.
La mia compagna S. vorrebbe fare un figlio. Pure a me piacerebbe. Però è anche lei una flessibile – sta facendo un tempo parziale – e se dovesse capitare che restiamo tutti e due senza lavoro, tra un impiego e l’altro, non ce la faremmo. Dunque meglio aspettare. Siamo ancora giovani.
Marzo 2009.
La ditta in cui lavoro da sei mesi m’ha rinnovato il contratto per altri tre. Il capo del personale dice che per adesso, in attesa del giudizio dei mercati sui loro prodotti, non possono fare di più. Ma invita ad avere fiducia.
Altri hanno avuto prima o poi il tempo indeterminato. Visto che dove lavoro io siamo almeno duecento, gli domando quanti sono. Potrebbero essere addirittura il venti per cento, risponde, facendomi due o tre nomi.
Maggio 2010.
Insieme con S. sono andato in banca. Vorremmo comprarci un alloggetto. Anche se alla fine non lavoriamo in media più di otto o nove mesi all’anno, guadagniamo abbastanza. Però avremmo bisogno d’un prestito o d’un mutuo. L’impiegata sta a sentire, fa qualche domanda, poi dice che non si può.
I prestiti o i mutui si concedono soltanto a chi ha un lavoro stabile. Per consolarci ci confida che nemmeno lei, impiegata di banca, potrebbe avere un mutuo. È una temporanea.
Novembre 2014.
Dopo sette rinnovi consecutivi di vari tipi di contratto – un paio di interinali, tre o quattro a tempo determinato, altri due CCC, cioè di collaborazione coordinata – la ditta mi ha proposto un contratto a tempo indeterminato.
In cambio mi chiede soltanto, per via della flessibilità, di rendermi disponibile al lavoro a turni, sei ore comprese in un qualsiasi intervallo tra le 7 e le 24, in qualunque giorno, sabato e domenica inclusi.
Ogni settimana l’orario del turno può cambiare. Naturalmente loro si impegnano a farmi sapere quale sarà il mio orario con almeno due o tre giorni di anticipo. Naturalmente ho accettato.
Gennaio 2015.
Ho saputo da un biglietto di S. – adesso facciamo turni con orari diversi, così ci lasciamo messaggi sulla porta del frigorifero – che il medico le ha detto che se vuole avere un figlio dovrebbe sbrigarsi. A 35 anni una donna è anziana per avere un primo figlio. Lei però è ancora indecisa.
Adesso ha un CCC, ma sta per scadere e non ha ancora trovato altro. E se non lavora lei non paghiamo l’affitto, altro che il latte in polvere e una tata. Ci vorrebbe una legge apposta, per le madri flessibili.
Luglio 2016.
Mia madre vorrebbe sapere con precisione quale lavoro faccio. Per dirlo ai parenti, agli amici che chiedono notizie. Sostiene che la mette a disagio non poter rispondere che suo figlio, per dire, fa l’elettricista, o l’impiegato all’anagrafe, o il disegnatore di dépliants. Vorrei risponderle, perché ormai ha l’aria proprio vecchia.
Il fatto è che, dopo tanti lavori, non lo so nemmeno io chi sono, che cosa sono. Da qualche tempo mi fa male la schiena. Ho prenotato una visita.
Luglio 2018.
Dato che bisogna essere previdenti, ho chiesto a un’esperta a quanto potrebbe ammontare la mia pensione. M’ha parlato di ricongiungimenti, casse separate, regime contributivo, e dello sbaglio d’aver cambiato tante volte lavoro e azienda.
Posso aspettarmi, in conclusione, una pensione pari a circa un terzo di quello che prendo al mese, quando lavoro.
Ma con una pensione pari a un terzo dello stipendio mica si vive. Quindi le ho chiesto cosa dovrei fare per aumentarla. Dovresti investire almeno un terzo di quello che guadagni in un fondo integrativo, ha detto.
Settembre 2018.
Non sono ancora riuscito ad andare dal medico. Ogni volta che faccio la prenotazione, capita che sono di turno.
Dicembre 2018.
La ditta, di cui ho sentito che sta andando benissimo, mi ha licenziato. Ho protestato, ricordando che il mio contratto era a tempo indeterminato. M’hanno spiegato gentilmente che da quando lo statuto dei lavoratori è stato abolito, indeterminato significa soltanto che è l’azienda a decidere quando il contratto termina.
(Mese illeggibile del 2022).
Quest’anno sono riuscito a lavorare soltanto sei mesi. Le aziende mi fanno difficoltà perché, alla mia età, non ho abbastanza formazione. I giovani che arrivano adesso dalla scuola sono più preparati e flessibili.
Per fortuna nell’azienda in cui lavoro adesso ho ritrovato F., ex compagno di scuola. È diventato capo settore, un uomo importante. Gli ho chiesto com’è riuscito a far carriera. Beh, dice, ho cercato di restare nella stessa azienda il più a lungo possibile. Se uno salta di qua e di là, da un posto all’altro, mica lo promuovono. Ti pare?
Chiudiamo qui, per ora, il diario dell’uomo flessibile. Come ben sanno gli storici, le cause del rapido declino della civiltà italica del terzo millennio d. C. sono tuttora avvolte dal mistero. L’ipotesi d’un avvelenamento collettivo da piombo delle condotte d’acqua, già affacciata per spiegare il crollo d’una civiltà fiorita nello stesso territorio 15-20 secoli prima, va scartata in base alle indagini compiute con i nostri super-spettrografi di massa.
Ma sulla base di quest’ultimo ritrovamento, ci pare lecito ipotizzare che il culto della Flessibilità, distraendo ipnoticamente i capi come le masse da ogni altro fine esistenziale, abbia avuto in tale declino un peso non lieve.
Le nostre ricerche su questo fascinoso tema proseguiranno.