Nel mio articolo, intitolato Una proposta di Work Out: la riscrittura espressiva ho fatto riferimento al lavoro di James Pennebaker sull’utilizzo della scrittura come strumento per affrontare alcune situazioni.
Si tratta – come ho scritto nel libro – di una forma di auto-terapia leggera ma efficace, come provano le numerose ricerche scientifiche svolte su di essa, una auto-terapia che non è efficace con tutto ma che quando applicata, in ogni caso, lascia benèfici strascichi. Attraverso la scrittura espressiva sono state affrontate:
- Ansia
- Depressione
- Disturbi post traumatici
- Facilitare l’adattamento a situazioni difficili
- Migliorare le prestazioni
- …
È un metodo che favorisce l’emersione di quanto non si vede, la possibilità di trovare alternative o modalità per esprimere qualcosa.
L’idea di partenza…
Pennebeker parla di Scrittura espressiva mentre nell’articolo parlo di Riscrittura espressiva. Questo per rendere ancor di più l’idea che l’agente operante non è tanto il semplice atto di scrivere quanto il riscrivere più volte dello stesso evento (o situazione, persona, ecc).
Trattandosi della “tesina” per il diploma avevo optato per qualcosa che conoscevo e avevo ipotizzato un utilizzo adatto come work-out ovvero come una di quelle attività che è possibile proporre al coachee tra una sessione e l’altra.
Questi Work-out vengono descritti da Panitti e Rossi in L’evoluzione del coaching come “…gli esercizi di allenamento proposti dal Coach al di fuori della sessione, che il Coachee quindi può svolgere in autonomia” e precisano “…gli esercizi in oggetto non hanno come fine diretto il raggiungimento dell’obiettivo fissato, bensì l’allenamento delle Meta-potenzialità CARE”
Quando ho scritto l’articolo presente nel volume Appunti sparsi di coaching non avevo alcuna esperienza, se non quella fatta durante la formazione e con gli amici che si erano concessi come cavie, nel cosa volesse dire fare sessioni di coaching con dei clienti.
Successivamente ho iniziato ad avere a che fare con coachee veri, persone che avevano una necessità e con le quali mi sono confrontato rispetto a quello che potevo offrire loro. Non tutti sono diventati clienti e soltanto con alcuni ho poi utilizzato il metodo proposto da James W. Pennebaker.
Utilizzo della scrittura espressiva nella preparazione al percorso di coaching
Il modo di impiego che utilizzo qui è quello che mi pare abbia dato maggiori benefici. Come faccio a dire questo, su cosa baso questa affermazione? Non ho dati statistici, mi limito ai feedback forniti dai coachee e a quelli di colleghi con i quali mi confronto di quando in quando.
È tutto molto semplice:
- Quando propongo di utilizzare la Scrittura espressiva? Sempre più spesso tendo a proporla dopo la Sessione 0, nello specifico in quel tempo che sta tra la firma del contratto e il primo incontro e, a volte, anticipo ancora e la propongo prima della Sessione 0, qualora senta che è possibile farlo, a fine della telefonata di contatto “Se lo ritiene opportuno potrebbe…”
- A chi la propongo? La propongo a quelle persone che mi pare abbiano, come ho scritto nell’articolo, un argomento secondario che hanno difficoltà ad esprimere o, addirittura, ad individuare. Oppure a chi mi da la sensazione o mi comunica una difficoltà a gestire alcuni aspetti, siano essi di natura pratica o di altro genere, del motivo per cui ha chiesto di incontrarmi.
- Cosa chiedo? Di scrivere per 15 minuti consecutivi, senza mai smettere, rispetto al motivo per cui hanno chiesto di incontrarmi e di andare in profondità rispetto agli avvenimenti e soprattutto alle emozioni. Di ripetere questa cosa per 5 giorni consecutivi e alla fine buttare via tutto. Che non c’è bisogno di rileggere nulla.
- Come la utilizziamo nella sessione successiva? Se ne parla soltanto se il coachee tira fuori l’argomento e nei termini che questi ritiene più adeguati.
Ecco, questo mi pare sia tutto.