Henry James ha detto che se si descrive una cosa troppo completamente, troppo concretamente, obiettivamente, solidamente, in ogni dettaglio, diventa poi impossibile per l’immaginazione di concepire che cosa può succedervi dentro…
Anaïs Nin
I metodi qualitativi non hanno avuto vita facile soprattutto perché sono sempre stati accusati di utilizzare criteri poco rigorosi, da un punto di vista logico-formale, e quindi di far sorgere un eccesso di relazione e di equipollenza tra osservatore ed osservato, un rapporto troppo biunivoco per non suscitare giudizi, troppo a rischio di scambi, di empatia per garantire il giusto livello di distacco necessario a fornire dati e risposte non viziati da personalismi.
Queste metodologie potevano essere considerate, quindi, al più come un’aggiunta che serviva a comporre i retroscena a studi ben più oggettivi basati su metodiche quantitative, appendici da includere come elementi di rifinitura o al contrario, secondo quanto riportato da Lumbelli1, corrispondere al momento esplorativo preparatorio per un’estensione quantitativa.
A ingenerare questo pregiudizio è stata soprattutto l’analisi di tre caratteri rilevanti che ponevano i due punti di vista in poli diametralmente opposti.
“Mentre le caratteristiche distintive delle metodologie quantitative sono:
- L’impiego della matrice dati;
- La presenza di definizioni operative dei “modi” della matrice dati (perlopiù casi e variabili)
- L’impiego della statistica o dell’analisi dei dati.
I caratteri distintivi delle metodologie qualitative sono:
- L’assenza della matrice dati;
- La non ispezionabilità della base empirica;
- Il carattere informale delle procedure di analisi dei dati.
…”2
Sostanzialmente il distacco tra i due punti di vista rimane e a noi non interessa qui andare a ribattere le tappe e le posizioni della lunga diatriba tra sostenitori dei metodi statistico-matematici e sostenitori dei metodi qualitativi ma, ribadendo che esiste ormai un riconoscimento di pregi (e difetti) reciproci, interessarci soltanto ai secondi con particolare attenzione verso il metodo Autobiografico.
Prima di fare questo però vorrei menzionare Calidoni3 e Husserl4. Il primo riporta Wittengstein: “…noi sentiamo che, anche quando tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati…”, il secondo afferma che “…una mera scienza di fatti non può che generare meri uomini di fatto…”.
Ricerca qualitativa
La ricerca qualitativa si presta ad essere utilizzata soprattutto nello studio di relazioni reali particolari nelle quali il ricercatore deve immergersi per poter rilevare le caratteristiche più significative. Ma significativi rispetto a cosa e, soprattutto, rispetto a chi?
Quelli che andremo ad analizzare non saranno dati numerici ma fatti del vissuto, non saremo interessati al numero dei dati e dei soggetti ma alla spiegazione di sensazioni e figurazioni, personali o di gruppo, di fatti ed esperienze umane specifiche, alla significatività del racconto per il soggetto.
Nell’analisi delle storie di vita non ci interessa che un enunciato sia una verità assoluta, ci interessa sapere cosa sia vero relativamente al soggetto che si racconta, che sia vero per il suo mondo nel momento in cui lo riferisce. Andiamo incontro a “storie verosimili”5 alle quali siamo interessati in quanto sono reali per chi le narra e che di conseguenza possono essere accettate come tali da chi le ascolta.
Einstein affermò che se si può dimostrare che un enunciato è vero al 100%, allora non descrive il mondo e, al contempo, se descrive il mondo non lo si può dimostrare6. Del resto “…vi sono in cielo e in terra, Orazio, assai più cose di quante ne sogna la tua filosofia…”7.
Ripeto, quello che in noi desta interesse non è di tenersi aderenti ad una verità quanto essere accurati nel momento e nel soggetto, rendersi conto che non è tanto importante andare alla ricerca dei limiti estremi della ricerca, trovare risposte nette, quanto comprendere e studiare la specificità, andare alla ricerca di quei punti sfumati dove le cose si incontrano e si toccano con pudore.
Hemingway8 sostenne che l’obiettivo di uno scrittore è di scrivere una sola proposizione vera e si riferiva all’accuratezza della descrizione, alla giusta corrispondenza tra la parola e l’evento, tra la realtà soggettiva e l’iter personale.
Storie di vita
L’analisi delle storie di vita deve essere accurata, non deve per forza condurre a generalizzazioni, accurata non statisticamente valida pena la perdita di quelle tonalità che ce ne consegnano l’originalità.
Per riprendere Ferrarotti9, Marx nelle Tesi su Feuerbach afferma che “…l’essenza dell’uomo […] è, nella sua realtà, l’insieme dei rapporti sociali…” ed è proprio dall’intrecciarsi di questi particolari confronti con l’altro, che l’uomo utilizza sia come metro che come sfondo, che si sviluppa l’esistenza ed il sé.
Ma i rapporti sociali devono essere considerati anche in relazione con la molteplicità dei sé che compongono il singolo individuo e che vengono “attivati” all’interno delle varie relazioni e situazioni.
Proprio per quanto detto sopra, le pratiche qualitative non possono assumere un carattere prescrittivo e unidirezionale, ma lo stesso ricercatore è cosciente del fatto che c’è una rifrazione su sé stesso di quello che fa e per questo la sua ricerca assumerà caratteri, utilizzando un termine oggi tanto di moda, di basso profilo e di continua messa in discussione lasciandosi aperte possibilità di trasformazione e di ristrutturazione interne ed esterne.
Anche l’antropologia si ritrova coinvolta in quest’opera di legittimazione, di valorizzazione della coesistenza di un momento interno e di uno esterno, mostrando come si può vivere dentro ad una società e al contempo studiarla; superando il bisogno di essere integralmente oggettivi viene accettata la qualità della soggettività dello studioso e la facilitazione che si crea nello scambio di informazioni tra chi studia e chi è studiato in modo da permettere una continua correzione dinamica all’interno del processo interpretativo.
In questo modo l’antropologia comincia a studiare gli uomini cercando quei comportamenti che permettono la costruzione di un mondo dotato di senso, ricercano ciò che attribuisce senso all’esperienza.
Per quanto riguarda in particolare il metodo autobiografico uno dei dubbi che con maggior forza viene sollevato è quello dell’aderenza della storia alla realtà.
Pensiero narrativo
Per rispondere a questa incertezza bisogna tener presente che il pensiero narrativo, che è una delle maniere in cui lavora il nostro cervello, rielabora ininterrottamente in forma di racconto le nostre esperienze e ci aiuta nella costruzione del concetto di sé, della nostra identità e nell’interpretazione della realtà.
L’insieme dei ricordi non è lineare ed il pensiero narrativo lavora in modo da rendere coerente il proprio racconto di sé dotandolo di logicità e di significato. Dal momento in cui questa realtà si forma però non resta immobile. La memoria è dinamica e agisce sui nostri ricordi aggiornandoli con elementi del vissuto.
Riporto allora, un’altra volta, la storia di Erri de Luca dal titolo Zig Zag10: “Una sera del 1987 il poeta russo Josif Brodskij si ritrovò in una bella sala del Municipio di Stoccolma a pronunciare il suo discorso di accettazione. Gli era toccato il Premio Nobel, a meno di cinquant’anni, nel pieno del suo esilio. In fondo al suo breve intervento disse: “E’ maledettamente lunga la strada per arrivare da Pietroburgo a Stoccolma, ma, dopo tutto, per uno che fa il mio mestiere, l’idea che una linea retta rappresenti la distanza più breve tra due punti ha perduto da un pezzo la sua attrattiva”. Questo pensiero può essere utile a dei giovani che da un loro perpetuo punto di partenza non vedono l’ora di essere già arrivati a qualche traguardo, a qualche preziosa stazione della loro giusta ambizione. Cercano la linea retta, la più breve, mossi dall’impazienza dell’età e persuasi da un’idea lineare dei tragitti. Non è così. Tra quei due punti, scorre la vita, che è una continua digressione, un imperterrito divagare, che ha bisogno di ostacoli, rinunce, buona sorte, anche disgrazia per compiersi. Solo da un arbitrario punto di arrivo si può credere a un percorso, dare questo nome all’intrico dei propri giorni. Stoccolma non è il capolinea di Pietroburgo, ma solo un’occasione per voltarsi indietro. Dal guazzabuglio del passato emerge allora non la linea tratteggiata di un disegno, ma la forza posseduta dal punto di partenza, l’energia contenuta nella premessa. Allora da un arbitrario punto di arrivo: un letto d’ospedale, una cella di prigione o una cena, al Municipio di Stoccolma, pretesto per voltarsi indietro, ognuno può riconoscere la saggezza di un destino, che divaga sempre e per compiersi non insegue rotta, ma deriva.”.
1 Lumbelli L., Pedagogia sperimentale e ricerca esplorativa in Balduzzi G.E., Telemon V. (a cura di), Oggetto e metodi della ricerca in campo educativo, CLUEB, Bologna, 1990
2 Ricolfi L., La ricerca empirica nelle scienze sociali: una tassonomia, in Ricolfi L., La ricerca qualitativa, Carocci, Roma, 1998
3 Calidoni P., Didattica come sapere professionale, Editrice La Scuola, Brescia, 2000
4 Husserl E., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 1997
5 Platone, Timeo, Rusconi, Milano, 1994
6 Einstein A., Pensieri, idee, opinioni, Newton, Roma, 1996
7 Shakespeare W., Amleto, Mondatori, Milano, 1989
8 Hemingway E., Fiesta mobile, Mondadori, Milano, 1998
9 Ferrarotti F., Storia e storie di vita, Laterza, Bari, 1981
10 De Luca E., Zig Zag, cit. in http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=177